Critica comunista (1979-1982)

“[…] La cultura politica della sinistra italiana è oggi in crisi: se non altro, per la verifica pratica dell’approdo a una più esplicita collaborazione di classe del maggiore dei partiti tradizionali del movimento operaio [il PCI, ndr); ma anche per il crollo di gran parte delle spiegazioni e dei punti di riferimento che avevano conosciuto, dal ’68, brevi momenti di fortuna.

Non è passato molto tempo da quando la «nuova sinistra», per intero e senza rilevanti eccezioni, a parte una maggiore o minore raffinatezza, deduceva dal maoismo (rivelando tra l’altro una notevole propensione per la metafisica) tutto il nuovo con cui si trovava a fare i conti. Le vicende successive alla «rivoluzione culturale» e il tramonto del mito maoista non sono stati tuttavia sufficienti a produrre una revisione critica del metodo e dei criteri di interpretazione adoperati in passato. Su quel mito è sceso l’oblio, anche se il problema di dare ai fatti un’interpretazione rimane…

Nella stessa logica, e con lo stesso metodo, lo spirito dell’ «autonomia operaia» si è salvato trasmigrando nel corpo e nelle contraddizioni dei «nuovi soggetti»; la critica al leninismo si è arenata in vecchi luoghi comuni, che non aggiungono nulla al bagaglio politico-teorico del riformismo o alla semplice giustificazione dell’esistente.

Così, la più larga area di avanguardie (operaie, studentesche, femminili) che sia emersa a sinistra dei partiti riformisti in Europa, vive, da alcuni anni, nell’impasse più buia, di fronte alla verifica di essere stata molto raramente in grado di capire la realtà e di proporre alternative.

Gli effetti sono contraddittori, spesso inquietanti. Una parte dei militanti è approdata alla teorizzazione del disimpegno, politico e morale, o, peggio ancora, accetta le equivoche lusinghe di chi sta ritentando il rilancio della socialdemocrazia in Italia. Tuttavia, il rifiuto delle certezze ha anche spinto un’altra parte dei militanti e delle avanguardie in una posizione instabile e aperta, alla ripugnanza per il settarismo e a una disponibilità nuova alla riflessione e al confronto.

[…] Questo, in una situazione in cui, per grave che sia la crisi del movimento operaio e pesanti i colpi messi a segno dalla borghesia, i rapporti di fondo tra le classi non sono ancora sostanzialmente mutati, i giuochi non sono ancora fatti, è ancora possibile cercare di raddrizzare la situazione.

In questo senso va intesa la proposta di «Critica Comunista» e a queste premesse si lega il contributo che essa ritiene di essere in grado di offrire a tutte le tendenze del movimento operaio che si rifiutano di capitolare.

Senza impegnarsi in dibattiti oziosi e accademici, che le vicende della lotta di classe italiana e internazionale non consentono, «Critica Comunista» vuol essere in primo luogo uno strumento teorico-politico della battaglia in difesa e per lo sviluppo del marxismo rivoluzionario, a cominciare dal semplice fatto di rimetterlo in circolazione.

Proprio perché non ci interessa una disputa con pretese di «ortodossia», e perché non intendiamo per marxismo qualcosa che vaga nel mondo delle Idee […], aggiungiamo l’aggettivo rivoluzionario, per l’esigenza di distinguere questo marxismo da altre sue interpretazioni, adattamenti, contaminazioni, stravolgenti.

[…] Molto del dibattito odierno non è che la riproposizione, in chiave «moderna», di un dibattito rimasto interrotto, e per alcuni nemmeno iniziato o sospettato, almeno un cinquantennio fa. Siamo di fronte ad alcuni nodi che, per non essere stati sciolti a suo tempo, vengono oggi drammaticamente al pettine.

«Critica Comunista», dunque, vuole riprendere in modo organico il marxismo rivoluzionario, sconfitto e condannato alla marginalità dallo stalinismo mezzo secolo fa, ma mai morto. Non si tratta, però, solo di immettere nel dibattito i contributi dei marxisti rivoluzionari emarginati dal «marxismo ufficiale» staliniano: Trotskij, innanzitutto, e poi, per fare solo un nome fra tanti, Rosa Luxemburg. Si tratta anche di far vedere come esso non si sia trincerato in una casamatta, mettendosi in naftalina per i posteri, ma si sia sviluppato, cercando di fornire risposte ai problemi nuovi che via via sono andati ponendosi.

È questo un processo di sviluppo in gran parte ignoto ai marxisti italiani, avvenuto sia all’interno di uno strumento politico-organizzativo (la IV Internazionale, cui appartengono, non a caso, molti dei redattori della rivista); sia al suo esterno, attraverso altre esperienze reali. Per quanto riguarda lo sviluppo del marxismo rivoluzionario della IV Internazionale, la cultura politica italiana ignora tutto o quasi. Pure, per fare solo un esempio, certi dibattiti di quest’organizzazione sull’URSS, sulla sua natura sociale, sarebbero oggi di estrema attualità, e una loro conoscenza eviterebbe a non pochi di ricalcare orme ormai vecchie di cinquanta o addirittura settanta e più anni (come nel caso della riscoperta del «capitalismo di Stato»

[…] faremmo un’operazione ben misera se ritenessimo che il monopolio del marxismo rivoluzionario spetti a una singola organizzazione. Sarebbe una visione ben pessimista, la nostra, se ritenessimo che il marxismo rivoluzionario non è un corpus teorico talmente vitale da avere in sé la forza di riemergere periodicamente anche all’esterno dei confini di una data organizzazione.

[…] il marxismo rivoluzionario che vogliamo rimettere in circolazione è sia quello «classico», sia quello contemporaneo; sia quello già cristallizzato in un’ipotesi politico-organizzativa, sia quello ancora in formazione.

Non siamo infatti convinti che esista già sin da ora un marxismo rivoluzionario completo e rifinito, da offrire come antidoto alla «crisi del marxismo» di matrice staliniana, maoista o spontaneista.

[…]Riprendere, dunque, il filo della riflessione e della battaglia teorico-politica, legati ai bisogni attuali della lotta di classe pur mantenendo il richiamo a una tradizione precisa; definire problemi politici e teorici ancora irrisolti, a confronto con le altre tendenze del movimento operaio, accogliendo i contributi di quanti vogliono affiancarci in quest’impresa: sono questi gli obiettivi ambiziosi, che ci proponiamo.

[…] Non tutto da soli, dunque, e «aperti», nelle migliori tradizioni del marxismo rivoluzionario. Non ripiegati su noi stessi, ma neanche ecletticamente protesi a diventare un recipiente buono per qualsiasi contenuto: aperti a chi condivida il nostro obiettivo di fondo: lavorare per la difesa e lo sviluppo del marxismo rivoluzionario, perché possa diventare lo strumento utile per la rivoluzione socialista in Italia. Consapevoli, naturalmente, che il nostro è soltanto un inizio…”

(Editoriale, in Critica comunista 1, Anno I, gennaio-febbraio 1979)

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